Charlotte Gainsbourg e l'amore per mamma Jane Birkin

(ANSA) - ROMA, 12 GIU - E' stato il suo film di esordio alla
regia e non a caso: Jane by Charlotte, il film che Charlotte
Gainsbourg ha dedicato alla madre Jane Birkin, è stato un modo
per dire a questa artista, mito ingombrante, musa non solo per
suo padre Serge ma anche per tanti altri, quanto bene le
volesse. Così l'opera, in sala dal 16 giugno con I Wanted dopo
essere stata presentata a Cannes 2021 e in altri festival tra
cui il Tff di Torino, è un segno tangibile di questo amore,
anche un po' liberatorio.
Nel film, Charlotte, la figlia del provocatorio,
trasgressivo autore ebreo francese Serge Gainsbourg di origine
ucraina, chiede alla madre di raccontare come erano quegli anni,
quelli di una coppia sotto i riflettori, discussa, famosissima.
"Non ho mai dormito una notte senza sonniferi", racconta Birkin
che vuole sapere tutto su sua madre. "Questo film - racconta - è
un documentario, certo, ma soprattutto una lunga avventura
emozionante, quasi un pretesto per godere di lei e allo stesso
tempo la fine di qualcosa, come un punto e a capo. Più la guardo
e più la amo", confessa. Una vita, quella di Jane musa di Serge,
che dai tempi di Je t'aime... moi non plus, è stata un
susseguirsi di tournee, successi, dipendenze da farmaci e
alcool. Lo chansonnier dalle gitanes sempre accese appare in un
filmino amatoriale a metà del film, come fosse stato un fantasma
fino a quel momento: lo si vede giocare con Charlotte piccola.
Poi il colpo di scena: mamma Jane accompagna la figlia a
visitare l'appartamento di Serge, 30 anni dopo la sua morte (2
marzo 1991). Dentro, buio e polvere, un museo con strumenti
musicali, libri, dischi, premi tantissimi, una cucina con cibo
persino esploso dopo tutto questo tempo, il bagno dove Jane
riconosce e quasi accarezza i suoi profumi di allora.
"Inizialmente - spiega - volevo fare un ritratto di mia
madre in Giappone e uno più parigino e in Bretagna, legati alle
mie sorelle, e uno a New York, più legato a me. Ma col Covid era
impossibile, quindi ho ristretto i luoghi e alla fine ho capito
che quello che facevo era un tete-a-tete con mia madre, non un
ritratto di famiglia, e ho cercato di metterla in situazioni e
luoghi che riflettessero le domande che volevo farle". (ANSA).